venerdì 26 luglio 2013

L'AMORE AI TEMPI DI FACEBOOK

Quanti miliardi di parole sono state scritte da quando i social network sono entrati a far parte della nostra vita? Quanti articoli hanno parlato di come facebook & company abbiano incrementato i casi di infedeltà coniugale, aprendo sempre nuove crisi tra le coppie di oggi?
Forse dovremmo rimpiangere i vecchi tempi, quando per entrare in contatto con una ragazza i potenziali fidanzati dovevano innanzitutto trovare il coraggio di chiederle il numero di telefono, per poi chiamarla, spesso ad un numero fisso al quale poteva rispondere qualunque membro della famiglia: dal fratellino di 5 anni alla nonnina ultraottantenne. Eh già, perché a qualcuno sembrerà assurdo, ma fino a non molti anni fa, internet e i cellulari non esistevano! 
Ora apparentemente è tutto più facile. Il "sei su facebook?" ha sostituito il "mi dai il tuo numero?", basta un click e, come per magia, sullo schermo del nostro pc o del nostro smartphone appaiono vita morte e miracoli della persona che vogliamo conoscere: foto, post, commenti e chi più ne ha più ne metta. Spesso attendiamo il fatidico invito a cena non più stando in simbiosi col telefono di casa (apparecchio ormai in evidente via d'estinzione...), ma controllando con pazienza certosina l'icona dei messaggi, per non parlare dei cuoricini e delle faccine sorridenti che invadono la nostra bacheca quando arriva il primo bacio. Ma qui comincia il bello. Perchè quando una relazione inizia, prendono vita anche le nostre paranoie più assurde, le quali ci portano al monitoraggio continuo e costante del profilo della persona amata. Il nostro partner stringe amicizia con un essere dell'altro sesso non precisamente identificato? Ecco che subito ce li immaginiamo "tra nuvole e lenzuola" e iniziamo a piangere calde lacrime in previsione dell'imminente abbandono. O, in alternativa, partono indagini degne di un agente della Scientifica, accompagnate magari da qualche post velatamente minatorio su quanto  possano diventare pericolose le persone tradite. Insomma, se con le nuove tecnologie tutto sembra più facile, in realtà pare proprio che i social network ci stiano complicando la vita. A partire dal fatto che hanno l'effetto collaterale di amplificare le nostre paure e insicurezze: se in passato siamo stati traditi o delusi, rischiamo di interpretare erroneamente ogni gesto innocente, forse per il timore di soffrire di nuovo. Soprattutto, però, non dobbiamo dimenticare che tutto ciò che scriviamo non solo resta, ma è alla mercé della nostra piccola web community e spesso proprio chi farebbe bene a starsene zitto, ha l'ardire di commentare qualche nostro post poco felice, con tutto ciò che di negativo ne consegue. Che dire quindi...il web ci aiuta, è vero, ma forse dovremmo imparare ad utilizzare i social network con la giusta misura e un pizzico di discrezione, soprattutto cercando di dare il giusto peso alle varie azioni. In fondo poi, sapete quando è il caso di preoccuparsi davvero? Quando la persona che  frequentate ha un profilo su facebook ma non vi dà l'amicizia. "Eh ma io su facebook non ci vado mai..." vi risponderà con aria innocente. E voi siete lì che lo guardate col suo Iphone 13 in mano e  l'Ipad sempre sotto braccio anche per andare al gabinetto. Ecco, in quel caso accettate il mio consiglio e scappate a gambe levate, prima che vi venga voglia di scoprire verità molto più che scomode!

giovedì 18 luglio 2013

IL CORAGGIO DI CAMBIARE...

In questi giorni mi sorprendo spesso a scrutare la mia immagine riflessa dallo specchio. In  un anno e mezzo 40 chili di me se ne sono andati e ancora adesso quasi stento a crederci. E 'come svegliarsi all'improvviso e rendersi conto che qualcosa è cambiato davvero: esteriormente, ma soprattutto dentro di me. Chi non c'è mai passato difficilmente potrà capire...è stato ed è tutto meno che facile. A partire dalla consapevolezza di avere bisogno di un aiuto, dopo mille tentativi di dieta falliti miseramente e il peso che continuava ad aumentare, togliendomi sempre più energie. Poi il coraggio di fare quella prima telefonata e l'inizio di un susseguirsi di visite ed esami. Ogni volta salivo sul treno alle prime luci dell'alba, chiedendomi se stavo per intraprendere la strada giusta, non osando nemmeno pensare a cosa avrei fatto se avessi nuovamente fallito.
 Secondo la profezia dei Maya, il 21 dicembre sarebbe dovuta giungere la fine del mondo, per me invece è stato un nuovo inizio. Di quel giorno ricordo il freddo pungente della sala operatoria, i rumori e le voci ovattate che mi avvolgevano, la paura per essere da sola e lontana da casa. Al mio risveglio ho guardato fuori dalla finestra ed ho visto un raggio di sole illuminare un paesaggio ricoperto di neve: ho pensato che fosse un buon segno, l'ho desiderato con tutta me stessa.
E così è iniziata la mia avventura. Convivere con un anello che ti stringe lo stomaco non è facile, ma non è nemmeno la bacchetta magica che risolve ogni problema. Ci vogliono comunque determinazione e forza di volontà perché i risultati arrivino. Ho letteralmente dovuto rivoluzionare le mie abitudini alimentari e la palestra è diventata la mia seconda casa. Ma soprattutto, per la prima volta nella mia vita, ho ammesso al mondo che avevo un problema e che stavo facendo qualcosa di concreto per risolverlo. Le persone attorno a me hanno giocato e stanno tuttora giocando un ruolo importantissimo in questo mio percorso. Penso a chi in palestra mi ha presa per mano e, con una professionalità e una pazienza fuori del comune, mi ha insegnato a resistere alla fatica e a raggiungere traguardi che fino a poco tempo prima mi sembravano impossibili , ma anche a chi mi ha dato forza con semplici parole di incoraggiamento. Certo, ho dovuto anche accettare il fatto che non sempre si vince, ma credo sia un po' una metafora della vita: si cade, ma quando succede ci si può solo rialzare e riprovare. 
In questo periodo ho imparato che se davvero si desidera qualcosa, bisogna partire da noi stessi per ottenerla perché nulla ci viene regalato.Solo facendo un passo dopo l'altro si arriva dove si desidera arrivare, anche se la strada talvolta appare irta di difficoltà. La mia è ancora un po' lunga, ma continuerò a fare tutto il possibile per percorrerla al meglio fino alla fine.

domenica 15 luglio 2012

RICORRENZE


Ieri è stato un giorno speciale. Esattamentre otto anni prima, infatti, mettevo al mondo la mia bambina. Per ogni donna la nascita di un figlio rappresenta un momento unico, fatto di mille emozioni che difficilmente si dimenticano. Nel mio caso però tutto questo è stato amplificato da un parto repentino e inaspettato: un malessere improvviso e la decisione di far nascere la bambina nel più breve tempo possibile, prima che potessero insorgere conseguenze fatali per entrambe. Di quel giorno ricordo tanta paura, la sensazione di trovarmi in un'altra dimensione e di vedere tutto dal di fuori, come se stessi guardando un film. E poi quell'attimo in cui ho perso conoscenza e la percezione di non essere sola, di avere accanto a me qualcuno che non c'è più da molto tempo...

L'anno scorso un'esercitazione per un esame universitario mi ha dato la possibilità di descrivere questa esperienza in un breve racconto, che è stato poi (con mia immensa gioia!) pubblicato insieme ad altri lavori dei miei colleghi. Oggi lo condivido con voi, dedicandolo prima di tutto alla mia dolcissima cucciola e poi a chi è "tornato" da me in quel breve momento, regalandomi un'emozione immensa che porterò per sempre dentro di me.


PRIMA DEL TEMPO

Tengo un diario fin dall’età di dieci anni. Riempire le pagine bianche con i miei pensieri e le mie esperienze mi ha sempre dato un senso di  serenità interiore. Col passare del tempo questa abitudine si è fatta purtroppo meno frequente, ma nei momenti più significativi della mia vita sento sempre il bisogno di rivivere scrivendo ciò che mi è accaduto.
Nelle pagine che seguono vi è la rielaborazione del racconto di uno dei momenti più importanti della vita di una donna, ovvero la nascita di un figlio. Ancora adesso, nonostante siano passati ormai 7 anni, ho un indelebile ricordo di ogni singolo istante di quel giorno.
A causa di un’improvvisa quanto grave complicazione, mia figlia è stata fatta nascere prematuramente con un cesareo d’urgenza nel giro di pochissimi minuti. In quegli attimi la vita e la morte si sono intrecciate in un susseguirsi di emozioni…fortunatamente la vita ha avuto la meglio ed io sono qui a raccontare come è andata!

Mercoledì 14 luglio 2004

Con fatica cerco di uscire dallo stato di torpore che mi assale da qualche settimana a questa parte. Non riesco a stare sveglia per più di cinque o sei ore nell’arco di una giornata, come se la totalità del mio corpo stia giorno per giorno abbandonando ogni altra attività che non sia quella di nutrire e far crescere la creatura che porto in grembo. Sono alla trentacinquesima settimana di gravidanza e oggi devo essere sottoposta ad una visita medica. Mio marito è uscito di casa alle sette per andare al  lavoro ed io proprio non riuscivo ad  alzarmi a quell’ora, così dovrò prendere l’autobus per raggiungere l’ospedale.
Diverse volte, con amici e parenti, ho scherzato sul fatto che, abitando in un isolato paesino di campagna e rimanendo sola per la maggior parte della giornata, molto probabilmente sarei stata costretta ad utilizzare i mezzi pubblici per recarmi a partorire. Ma il giorno del parto è ancora lontano, mancano almeno cinque settimane e non posso fare a meno di pensare che saranno le più lunghe della mia vita. La mia pancia si è fatta decisamente voluminosa, i piedi e le caviglie si sono gonfiati a dismisura e compiere anche ogni banale gesto quotidiano richiede da parte mia uno sforzo considerevole.
Con fatica quindi mi preparo ed esco di casa, nel bel mezzo di una giornata limpida e soleggiata. Ho giusto il tempo di salutare un vicino che sta lavorando nell’orto e l’autobus arriva. E’ la classica piccola corriera blu che si vede nei paesi di campagna, con non più di quindici posti a sedere, la musica diffusa dalla radio e l’autista che saluta i pochi passeggeri che salgono e scendono.
Timbro il biglietto e mi siedo in prima fila, ricordando scherzosamente al conducente di andare piano e fare attenzione alle buche.
Una volta preso posto la mia piccola si fa sentire. I suoi movimenti sono però sempre lenti e dolci come un massaggio: niente calcetti, spinte o gesti bruschi. Mi chiedo quale aspetto avrà, a chi assomiglierà…è così strano tenere tanti mesi una creatura in grembo e non avere idea di quali siano le sue caratteristiche fisiche.
Assorta nei miei pensieri, quasi non mi accorgo di essere giunta a destinazione. Entrata in ospedale mi dirigo a consegnare l’holter pressorio, dopodiché il medico mi invita ad accomodarmi in sala d’aspetto, in attesa dell’esito dell’esame, che dovrò poi portare in ostetricia. 
Mi siedo nel corridoio, sono sola e attorno a me percepisco un silenzio quasi surreale. Inganno il tempo guardandomi attorno, scrutando ogni particolare dell’ambiente che mi circonda, come sono solita fare quando mi trovo a dover aspettare. Improvvisamente però avverto un senso di malessere generale. Non vi presto inizialmente molta attenzione, dando la colpa al caldo e alla mia stanchezza, ma nel giro di pochissimo tempo la situazione si aggrava: la vista si annebbia, una morsa mi stringe lo stomaco e inizio a sudare freddo. Mi guardo attorno nel disperato tentativo di incrociare qualcuno a cui chiedere aiuto, ma il corridoio è completamente deserto. Cerco allora di gridare, ma le forze mi abbandonano, nonostante cerchi con tutta me stessa di evitarlo. L’ultima sensazione che ricordo è quella di scivolare verso il basso come se con forza venissi risucchiata dal pavimento…poi il buio.

Quando riapro gli occhi vedo attorno a me, avvolte in una strana nebbia, almeno cinque persone tra medici e infermieri. Uno di loro mi sta misurando la pressione sanguigna: -“200/150”- sento mormorare con preoccupazione. Da quel momento inizia un susseguirsi di corse in barella, di medici che si adoperano attorno a me con volti sempre più tesi, volti che mi scrutano alla ricerca di un piccolo segno di miglioramento. Alla fine la decisione giunge crudele come un’inaspettata condanna: la bambina deve nascere subito, prima che sia troppo tardi per entrambe.
Un senso di panico mi assale, non è in questo modo che avevo immaginato la nascita di mia figlia. Mi aspettavo dolore, sofferenza, anche paura, ma mai avrei pensato di trovarmi in una situazione simile: una corsa contro il tempo tra la vita e la morte, chiudere gli occhi senza sapere come andrà a finire. Dov’è mio marito che mi stringe la mano e mi incoraggia? Dove sono i parenti che passeggiano nervosi su e giù per il corridoio? Niente di tutto questo, nessuno a casa si immagina che cosa mi stia accadendo…sono sola in balìa del destino.
La vista si annebbia di nuovo, ancora una volta sto per perdere conoscenza e un senso di disperazione si fa largo dentro di me come un fiume che si riversa nel mio corpo…ho paura di morire senza poter nemmeno vedere la mia bambina.
D’improvviso il volto di mio padre, mancato undici anni prima, appare dinanzi a me. Mi rivolgo a lui come se ciò fosse la cosa più naturale di questo mondo, chiedendogli di fare in modo che tutto vada bene, di avere la possibilità di veder crescere la mia piccola e di passare tanti momenti felici insieme a lei. Ottengo come risposta un suo sorriso, che suscita in me un singolare senso di tranquillità. Questa piacevole percezione fa sì che mi abbandoni e chiuda gli occhi.

Mi sveglio con un fastidioso dolore al basso ventre e la sensazione che il mio corpo sia stato tagliato in due parti. Da un infermiere apprendo di trovarmi nel reparto di terapia intensiva: devo stare ventiquattro ore collegata ai macchinari, affinché le mie funzioni vitali siano monitorate.
Vedo arrivare mio marito, sorride nonostante il suo viso sia pallidissimo, e mi assicura che la bimba sta bene: è bellissima ed ha un ottimo peso per essere prematura. Uno alla volta si susseguono poi i miei parenti, nei loro volti percepisco una tensione che man mano si sta scaricando, ora che tutto è andato bene. Anch’io adesso mi sento più tranquilla, il mio unico cruccio è che non potrò vedere mia figlia fino al giorno dopo. Con una mano mi sfioro l’addome dolorante, il sentirlo vuoto provoca in me una strana sensazione di disagio…
Con rassegnazione mi preparo a passare il giorno più lungo della mia vita, in attesa di poter stringere tra le braccia la creatura che ho dato alla luce.

Giovedì 15 luglio 2004

Le forti emozioni provate mi hanno impedito di dormire. Ho passato la notte completamente sveglia a chiacchierare con gli infermieri, raccontando loro, fra sorrisi e lacrime, quanto mi è accaduto, ancora scossa per la travagliata esperienza passata.
Attendo con ansia di essere trasferita in ostetricia, finalmente io e Letizia (questo è il nome scelto per la mia bambina) potremo stare insieme, finalmente potrò vederla e tenerla tra le mie braccia. Ma le poche ore che mi separano da questo momento passano con una lentezza inesorabile, scandite da visite ed esami, i quali fortunatamente confermano che non vi sono più rischi per la mia salute.
Nel primo pomeriggio giunge l’ora di lasciare il reparto di terapia intensiva e l’imponente macchinario che per tutta la notte ha vegliato su di me, registrando con diligenza e costanza i miei parametri vitali. Percorro in barella il tragitto fatto di corridoi, ascensori, porte che si aprono e giungo in ostetricia. Vengo sistemata nell’unica stanza a due letti, dove al momento sono sola: la capo-sala ha deciso che merito un po’ di tranquillità dopo tutto quello che ho passato. Le sono grata di questa attenzione, ma ora il mio pensiero fisso è solo vedere la mia creatura, non posso resistere un secondo di più. Passano solo pochi minuti e nella stanza entra un’infermiera che tiene con una naturalezza estrema un piccolo fagottino: è lei, è la mia bambina! Nell’attimo in cui la donna me la porge le lacrime iniziano a bagnarmi il viso, senza che nulla possa fare per evitarlo. La mia piccola è semplicemente meravigliosa, con i suoi lineamenti tondi e dolcissimi, la pelle rosea e qualche sottile capello biondo. Sta dormendo beatamente ed il suo piccolo viso lascia trasparire un’innata tranquillità.
Nel preciso momento in cui la accolgo tra le mie braccia, Letizia spalanca gli occhi: un istante infinito in cui il suo sguardo incrocia il mio, come per scrutarmi, per memorizzare ogni dettaglio del mio viso. Poi, con un leggerissimo sospiro, richiude dolcemente le palpebre e si riaddormenta.
Io riesco solo a continuare a piangere e a ripeterle che è bellissima, non trovo altro modo per esternare la cascata di emozioni che mi travolge. La paura e l’ansia provate il giorno prima sono solo un ricordo ormai lontano. Istintivamente attacco mia figlia al seno e un brivido si scatena lungo il mio corpo. Mi abbandono a queste  sensazioni, consapevole che un capitolo nuovo della mia vita sta per iniziare.
Rivolgo un ultimo pensiero al volto di mio padre apparsomi quando stavo per perdere conoscenza. Non saprò mai se lui fu veramente con me o se si trattò di una mia suggestione; sono solo consapevole del fatto che percepire la sua vicinanza in un momento così difficile ha per qualche istante colmato il senso di vuoto lasciato dalla sua scomparsa. Un vuoto che farà sempre parte della mia vita, mitigato solo dalla consapevolezza che nemmeno la morte potrà mai cancellare la sua presenza nel profondo della mia anima.


venerdì 22 giugno 2012

PERSONE

Riprendo a scrivere sul mio diario virtuale dopo una lunga pausa. Difficile spiegare perché abbia smesso, di certo non mi sono venuti a mancare gli spunti in questi ultimi mesi..anzi! Ma forse, quando si passano momenti difficili, non si ha voglia di soffermarsi, di riflettere, di tirare fuori ciò che si ha dentro: si stringono solo i denti e si cerca di tirare avanti, di cercare la fatidica luce alla fine del tunnel. Nel frattempo però si accumulano emozioni, esperienze, sentimenti...che inevitabilmente, almeno per quanto mi riguarda, devono essere messi "nero su bianco".
Da che potrei cominciare...c'è solo l'imbarazzo della scelta. Il lavoro che non c'è più, gli studi che per motivi economici sono stati sospesi, i soldi che non bastano mai, la rabbia e la frustrazione per essermi fidata di persone che poi, al momento del bisogno, mi hanno voltato le spalle. Eppure, per quanto a volte mi senta sfinita e sull'orlo della disperazione, spesso mi trovo a pensare a quanto di bello ho avuto in questi ultimi mesi e soprattutto alle persone che il destino ha messo lungo la mia strada.
Ci dicono che tutto nella vita ha un senso e, sebbene stia ancora cercando di comprendere il motivo per cui ultimamente non me ne vada una giusta, devo una buona parte della mia sopravvivenza ad alcune persone speciali che stanno, più o meno consapevolmente, camminando accanto a me nel buio di questo infinito tunnel. Con alcune di queste condivido quotidianamente problemi e difficoltà varie, in quanto hanno vita ed esperienze passate simili alle mie. Persone con le quali mi confido, mi confronto, alle quali chiedo e do aiuto. Solidarietà: parola che spesso dimentichiamo, in grado però di riempire la vita più di ogni altro bene materiale. Poco importa che essa si concretizzi in piccoli gesti o in grandi dimostrazioni di amicizia: il suo valore è sempre inestimabile, perché nasce dalla bontà di un cuore, dall'affetto disinteressato.
E poi ci sono persone che apparentemente sono piombate nella mia vita senza una ragione, alle quali inizialmente nemmeno ho fatto caso. Persone dalle quali non mi aspettavo nulla, ma che alla fine sono state una vera boccata di ossigeno in questa selva soffocante che è spesso la vita.
Forse fa parte di me il prendere il meglio da ogni situazione che vivo, ma mi sento comunque di dire grazie anche a chi, con piccoli gesti talvolta inconsapevoli, mi ha fatto dimenticare anche solo per pochi attimi i miei momenti più grigi.

Vorrei chiudere questo post con una poesia di Alda Merini, che rispecchia molto quello che provo in questo periodo: non il denaro, ma sono i sentimenti, i buoni sentimenti, la vera essenza della vita!

Io non ho bisogno di denaro
Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti....
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

venerdì 12 agosto 2011

STELLE CADENTI



Ieri sera, per la primissima volta nella mia vita, ho visto una stella cadente. Sembrerà assurdo, lo so, ma veramente non mi era mai capitato. Solo parecchi anni fa avevo avuto l'impressione di vederne una con la coda dell'occhio, ma non ne ho mai avuto la piena certezza. Eppure ho sempre scrutato il cielo nelle notti d'agosto, con la speranza di cogliere, prima o poi, la magia di questo momento. Una frazione di secondo, in cui un piccolo frammento di luce appare improvvisamente nell'oscurità del cielo, si lancia in picchiata verso l'ignoto e scompare con la stessa velocità che lo aveva visto apparire.
Ieri, quando tutto questo è successo, mi si è fermato il respiro. Nello stesso istante ho espresso un desiderio, ma senza la consapevolezza di farlo: è sbucato fuori dalla mia mente, dal mio cuore in modo così repentino che nemmeno ricordo che cosa ho chiesto di preciso. Ovviamente so che cosa riguardava...adesso quindi me ne starò buona buona ad aspettare che si avveri. Ho un solo dubbio: mi ci sono voluti quasi 35 anni per vedere una stella cadente...speriamo non ne debbano passare altrettanti prima che faccia effetto!!

sabato 9 luglio 2011

STORIA DI UN'AMICIZIA VERA

Una semplice panchina in un parco qualunque, come quella raffigurata in questa foto, come migliaia di altre che si possono trovare ovunque. Eppure, ogni volta che ne vedo una non posso fare a meno di pensare che proprio su un'anonima panchina di un parco di quartiere è nata la mia amicizia con Gabriella, la vera "amica del cuore", la persona che so di avere sempre accanto in ogni momento, bello o brutto che sia.
Spesso lungo il nostro cammino incrociamo persone apparentemente per caso, ma presto ci rendiamo conto che se le abbiamo incontrate un motivo ci deve pur essere. Per noi è stato esattamente così. Sono state le nostre figlie a fare amicizia per prime, sera dopo sera in quel parco dove loro giocavano e io cercavo un attimo di relax dopo una giornata di lavoro.
In quel periodo vivevo la fine del mio matrimonio con enormi sensi di colpa, nonostante non fossi stata io a volerlo, e cercavo di adeguarmi in qualche modo alla mia nuova condizione, tra mille difficoltà, dubbi, paure...quante volte seduta su quella panchina avevo lo sguardo perso, assente, impegnata in un turbine di pensieri, intenta a immaginarmi quale sarebbe potuto essere il mio futuro. Poi una sera lei si siede accanto a me e, come se niente fosse, iniziamo a parlare, ma nulla a che vedere con le chiacchiere classiche da madri...istintivamente abbiamo parlato di noi. Ricordo di essere stata io a cominciare, chiedendole se anche lei era separata, dal momento che avevo notato che sua figlia era accompagnata alcune volte dal padre e altre da lei. La sua risposta affermativa ha dato inizio al racconto delle nostre esperienze, uguali in tutto e per tutto. Ricordo il reciproco stupore nel renderci conto che avevamo passato le solite vicissitudini con le stesse modalità e le medesime conseguenze sulla nostra vita quotidiana. Eravamo due perfette estranee, ma con estrema naturalezza ci siamo confidate come se fossimo amiche da sempre. Da quella sera non ci siamo più staccate. La panchina di quel parco è diventata il luogo del nostro appuntamento nelle calde serate estive, una sorta di confessionale dove ci confrontavamo e ci davamo sostegno reciproco. Nel giro di poco tempo abbiamo iniziato a frequentarci sempre più assiduamente, a far parte l'una della vita dell'altra, a condividere ogni giorno piccoli e grandi problemi e, per fortuna, anche qualche momento di spensieratezza. Fisicamente e caratterialmente così diverse...eppure in fondo così uguali, con lei riesco ad aprirmi come non ho mai fatto con nessuno, senza paura di essere giudicata, ma con la sola consapevolezza di avere qualcuno accanto che mi capisce sempre. Qualcuno che ha sempre il consiglio giusto, disponibile a darmi sostegno non solo a parole, ma anche con i fatti.
Una nuova estate è iniziata e come è nostra abitudine da ormai qualche anno, l'appuntamento serale al parco è diventato irrinunciabile. Mentre i nostri figli giocano allegramente, una parte della nostra vita si racconta sempre sulla solita panchina: quelle assi di legno ormai sciupate dal tempo e dalle intemperie si riempiono della nostra storia, diventando il simbolo di una splendida amicizia che spero possa durare per sempre.

mercoledì 29 giugno 2011

ERAVAMO TANTI AMICI AL BAR...

In questi giorni la mia migliore amica ha deciso di lasciare il bar che aveva in gestione. So che ha fatto la scelta giusta, quello era il suo secondo lavoro, ma non le fruttava quanto avrebbe dovuto, oltre a massacrarla fisicamente e mentalmente. Non posso negare però che un po' mi dispiace. Frequentavo quel bar tutti i giorni durante la pausa pranzo, insieme a tutti gli altri nostri amici. Era il "nostro" momento: giungevamo chi da casa, chi dal lavoro e condividevamo insieme pranzo, chiacchiere e problemi. Se solo quei tavolini potessero parlare... racconterebbero di scherzi, di risate, di riunioni collettive per decidere strategie amorose, di brindisi improvvisati, ma anche di lacrime, di rabbia, di problemi grandi e piccoli da affrontare. Quei brevi ma intensi momenti che passavamo insieme ci davano la carica per affrontare il resto della giornata.
Gli altri avventori ci guardavano spesso con curiosità, chiedendosi probabilmente che cosa avessimo da confabulare, tutti ammassati attorno a due tavolini uniti per l'occasione, quasi come fossimo racchiusi in un cerchio magico.
D'ora in poi non sarà più così e tutto questo mi mancherà. Certo, siamo amici, continueremo sicuramente a sentirci e vederci e forse sarà proprio questo il banco di prova per misurare il vero valore della nostra amicizia. In quel bar però è come se fossi rinata: giorno dopo giorno ho capito di non essere l'unica a vivere una vita complicata, ho imparato che i veri amici ti guardano negli occhi e capiscono al volo come stai, ho apprezzato tutti quei piccoli gesti che mi hanno fatto capire di non essere sola. Per questo non potrò mai dimenticare questi ultimi mesi, ricordandoli sicuramente come uno dei momenti più speciali della mia vita.